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  • Marcello Menni

Un pensiero per una Milano che non è come prima servono idee, servono strade: università, cultura di

Riflessione di Carmelo Ferraro, Presidente di Piattaforma Milano


Premessa


Lo sviluppo di una città dipende solo dalla sua ricchezza, dalla misura delle sue fabbriche e dall’efficienza dei suoi uffici? O dai chilometri della sua metropolitana, della vastità dei suoi parchi o del numero di utilizzatori di bicicletta?


Siamo stati abituati, anche dalla politica, a dare credito che una città si costruisca “aggiungendo dei mattoncini”: un mattoncino di ambiente, uno di urbanistica, uno di servizi sociali.


Ma le città che spesso crescono o deperiscono sono proprio come quelle dei mattoncini: un gioco da bambini molto cresciti che affastellano edifici diversi e difformi con il disordine dell’estro, della moda o della capacità di spesa.

Cosa serve allora per creare un ordine, ma soprattutto per dare uno spinta, perché il pesante carretto cittadino acquisti velocità e possa gareggiare in velocità in questo mondo?


Serve un pensiero, una visione, una strada.


Oggi molti sono allergici alle grande visioni: alcuni le accomunano alle grandi pianificazioni sovietiche, che evocano i grattacieli staliniani e i grandi corsi, intervallate da povere case, da negozi vuoti e illuminate da luci tremolanti.


E’possibile una visione che non sia una pianificazione sorda e dirigista, ma che mobiliti le migliori energie della società civile, che faccia crescere cose buone come i fiori in un campo ben arato?



La risposta è sì, e viene proprio da Milano.


La straordinaria crescita che ha vissuto Milano dalla decadenza che si viveva negli anni ‘90 è stata una incredibile intuizione: che la città poteva cambiare con la forza di una grande idea, di un’intuizione immateriale.


Si era visto che i grandi quartieri di Rogoredo, City life e Garibaldi, avevano portato ordine ma non sviluppo vorticoso; l’immagine di una città moderna ma non “cool” e imperdibile meta turistica; un nuovo Sky Line ma non una nuova immagine di MIlano nel mondo.


E l’idea è stata l’EXPO 2015.


A distanza di 5 anni possiamo dirci che nulla era particolarmente eclatante nel sito expo, nulla aveva un autentico effetto WOW, nè c’era qualche edificio che ricorderemo.


L’idea forte è stata quella di prendere una curiosità e un bisogno forte dell’uomo - il cibo - e di circondarla del fascino milanese, con i suoi aperitivi, la sua eleganza, la sua operosità, l’essere al centro di un territorio nascosto eppure affascinante.


Ma anche di contenuti: sostenibilità, lotta contro gli sprechi, solidarietà.


La strada è stata quella porsi come una grande metropoli internazionale e lasciare che i grandi flussi internazionali, di turisti, di denaro, di cultura, di idee la riempissero


Una visione alla fine condivisa in maniera bipartisan.



Oggi


Ci vorranno almeno due anni perché i grandi flussi internazionali riprendano, fra paure, diffidenze vecchie e nuove e difficoltà tecniche.


E Milano, quindi, sarà assai meno internazionale, europea e globalizzata di prima.


Non dimentichiamo che, poi, tutta la Lombardia sconterà uno stigma che forse non abbiamo ancora del tutto metabolizzato: siamo stati al centro dell’epidemia mondiale, con il maggior numero di morti e di malati in proporzione della popolazione.


E una delle conseguenza è stata che - al di là degli sforzi eroici di medici e di operatori sanitari - il mito della sanità lombarda e milanese come di un “eccellenza nel mondo” non è più tale.


Anche dal punto di vista psicologico i viaggi della speranza che portavano centinaia di migliaia di persone dalle altre regione d’Italia potranno venire meno.


Non riprenderà tutto in fretta senza un’idea e senza un’idea all’altezza della sua storia.


Domani


Milano deve nel medio termine tornare a diventare un punto di riferimento prima di tutto per gli Italiani.


Ciò che è rimasto dopo questo periodo di disintegrazione di valore e di socialità non è certo la finanza, che dominava l’immaginario fino a pochi anni fa.


Sicuramente sono rimaste le grandi università. Investire per favorire la creazione di una città giovane e accogliente, con infrastrutture come studentati e luoghi di aggregazioni è fondamentale.


Ma anche la Milano dell’innovazione e della creatività va rilanciata. Ora come ora, TUB - tribunale unificato dei brevetti europei - con la sua filiera diventa assolutamente fondamentale per creare un’identità. E già una battaglia su cui si stanno impegnando tutte le istituzioni locali e nazionali in maniera bipartisan.


Ma anche dare spazi e infrastrutture e vecchi e nuovi centri studi, enti di ricerca e spin off, diventa un’operazione di investimento sulle opportunità che le buone menti portano con sé.


Sempre nell’ottica dell’innovazione MIlano deve investire per diventare una città totalmente 4.0. Internet gratuito diffuso, servizi innovativi ai cittadini, dematerializzazione totale della burocrazia.


E infine l’arte contemporanea (teatro, musica, arti figurative, art & crafts) . L’arte è oggi è uno straordinario momento di riflessione, attrazione di intelligenze e capitali, ha una una capacità ci creare eco e di diventare megafono.


Far sì che agli artisti siano aperte le porte è fondamentale per ricostruire la città.


Non dimenticando i grandi templi dell’arte milanese, come la Scala, il Piccolo o la Triennale.


Un’attenzione finale


Milano ha un DNA di città solidale, dove nessuno viene lasciato alle spalle, dove ci sono possibilità per tutti perché tutti sono considerati membri della comunità.


Un’attenzione che ha costruito grandi opere di solidarietà e di servizio per il benessere dei cittadini come la CA’ Granda (oggi Policlinico).


O le grandi opere di solidarietà legati ai grandi industriali dell’800 e dell’900.


I grandi slanci per il futuro devono avere il coraggio di dire: “Non uno di meno”.


Con queste idee vogliamo continuare lo sforzo di Piattaforma Milano.


“Perché vogliamo continuare ad essere quello che siamo stati in quest’ultimo anno “un interessante spazio di democrazia e partecipazione che si muove con competenza e passione” come siamo stati definiti”.



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