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LE TABACCHINE IN SALENTO
Attraverso le opere esposte, realizzate su tavole di legno di abete, intrise di sudore e di fatica delle donne-tabacchine, che pressavano il tabacco secco e già selezionato, si dipana una storia dimenticata…di Donne
“Tra la fine dell’ottocento e i primi anni del novecento,…, era stata intrapresa nelle campagne della provincia di Lecce e soprattutto nella zona del Capo di Leuca, situata nella parte meridionale della Penisola salentina, una vasta opera di sperimentazione dei tabacchi levantini (erano denominati levantini, orientali o gialli i tabacchi provenienti dalla Turchia, dalla Grecia e dalla Macedonia, Paesi specializzati in questo tipo di coltura) particolarmente indicati per il confezionamento delle sigarette.
I risultati incoraggianti della fase sperimentale, l’impegno di molti proprietari terrieri in favore dell’aumento delle licenze di coltivazione dell’intera provincia e il ruolo svolto per l’incremento della produzione dagli enti preposti alla coltivazione e al commercio del tabacco, avevano consentito in pochi anni la realizzazione nel Capo di Leuca di un importante impianto industriale di tabacchi gialli destinati all’esportazione…” “La coltura del tabacco,…ha contribuito in maniera determinante dopo la crisi del 1887 al rilancio dell’economia salentina, divenendo in questo periodo, attraverso numerosi stabilimenti di raccolta e di prima lavorazione del prodotto, una delle principali fonti di assorbimento della manodopera locale.” (da: Ricerche storiche – anno XLI n. 3- settembre-dicembre 2011- Discussioni e ricerche:Il tabacco levantino del Capo di Leuca dalla sperimentazione al commercio estero: I casi delle ditte Holtmann, Allatini ed Hardtog- D.De Lorentis)

Dipinto su legno che veniva utilizzato per pressare il tabacco
Nel Salento nei primi anni del secolo XX° la coltivazione agricola principale era quella del tabacco che impegnava un intero anno di lavoro. Nel territorio di Tricase in provincia di Lecce, nell’anno 1902 si costituiva una Cooperativa Agricola Industriale del Capo di Leuca, meglio conosciuta come A.C.A.I.T.,per iniziativa del deputato locale Alfredo Codacci Pisanelli e di alcuni proprietari terrieri della zona. Sorse con lo scopo principale di organizzare la coltura e l’industria del tabacco per sigarette, attività fino allora sconosciuta in Italia, dove si erano effettuati soltanto sporadici esperimenti, poco incoraggiati dalla Direzione Generale delle Gabelle, ora Direzione Generale dei Monopoli, la quale, nella fabbricazione delle sigarette, impiegava interamente tabacchi esteri.
Nella fabbrica venivano occupate solo donne per un lavoro stagionale di pochi mesi l’anno. Lavoravano con estrema difficoltà in quanto soggette quasi sempre ai ricatti dei padroni. Questo lavoro, per le donne, anche se misero, rappresentava una piccolissima entrata economica e la possibilità dell’iscrizione ai cosiddetti Elenchi Anagrafici, un istituto che concedeva ai lavoratori agricoli le Assicurazioni sociali, nonché l’indennità di disoccupazione, al raggiungimento, però, di un certo numero di giornate lavorative. E quanti rimanevano al palo?
Le fabbriche di tabacco operavano da anni nel Salento. Le donne che vi lavoravano da tempo come operaie sapevano che dopo l’Epifania e, comunque, entro la metà di gennaio iniziava la stagione, per tre/quattro mesi secondo l’annata del prodotto. Esisteva una figura all’interno del magazzino dei tabacchi, che le operaie chiamavano “MAESTRA” deputata al controllo dell’operaia, all’uscita dell’orario di lavoro, quasi perquisendola, nel caso avesse delle foglie di tabacco nascoste sotto le vesti. Questo gesto era ritenuto dalle tabacchine alquanto denigratorio nei loro confronti, per cui la Maestra era alquanto malvista, quasi cattiva. Una canzone così recita:”… ci ete sta Maestra, cacciatila ddhra ffore, bascia ccojia petrusinu”: “Chi è questa Maestra, cacciatela fuori, perché può raccogliere solo prezzemolo”. Persona da niente.
Il ricatto per la assunzione la faceva da maestro. Non tutte le tabacchine potevano sperare nel lavoro, pur anche stagionale, perché tutto dipendeva dalle bizze del fattore. E tutto ci porta a pensare ai soliti ricatti sessuali. Infatti:”Fimmene, fimmene ca sciati a lu tabaccu ne sciati doi e ne turnati quattru”. “Donne, donne che andate al tabacco, ne andate due e ne tornate quattro”.

Nella foto: Stefania Rizzo, pittrice, con Francesco Vivacqua, Presidente di Cultura&Solidarietà.
LA LAVORAZIONE DEL TABACCO
Il tabacco, raccolto in foglie, le quali, infilate una per una con un ago da sacco detta “cuceddhra,” venivano rilasciate in uno spago di un metro circa, chiamate “corde”, appese, poi, su dei telai o “talaretti” per la essicazione. Questa operazione avveniva nel chiuso di ambienti anche abitativi che fungevano nel tempo come contenitori del tabacco essiccato e raccolto in “chiuppi” (gruppo di corde unite) ed agganciati sulla volta della casa organizzata a mo’ di ragnatela di fil di ferro.
Il tabacco essiccato veniva posto dentro alle cassette e proprio con l’ausilio di queste tavole qui esposte le tabacchine pressavano il tabacco per ridurne il volume.
La fatica e il sudore di queste donne degli inizi del ‘900 continua a rivivere tramite il colore e l’energia di queste tavole che ho recuperato nel tempo presso manifatture ormai chiuse da vari decenni. Si è concluso dunque un capitolo importante della storia lavorativa salentina , in questo modo ho pensato di far rivivere una storia legata al passato attraverso il mio linguaggio cromatico depositato su queste meravigliose antiche tavole!!!
Ricercatore: Rocco Martella – Tricase
Pittrice: Stefania Rizzo - Depressa